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“Era il Paù alto di statura, secco, e più tosto bianco di corpo, lungo di volto, di occhio vivace, e rotondo, e naso aquilino”.

Un personaggio discusso

Aveva il portamento esteriore serio […] autorevole, grave […] per cui ispirava rispetto, e venerazione. Amava la conversazione de’ nobili, e de’ letterati […] Le sue chiesastiche funzioni eran magnifiche […] per splendidezza dell’apparato, e dell’illuminazione […] liberale coi poverelli […] le belle arti possedeva […] Monsignor Paù usando della sua influenza e de’ suoi pecuniosi mezzi, ottenne dagli eredi di alcuni letterati Tropeani preziosi inediti manoscritti delle di costoro opere, che ripose, come aveva fatto de’ quadri, nella sua biblioteca domestica in Terlizzi». Così lo storico Vito Capialbi descrive il vescovo di Tropea, figura celebre e controversa, per il carattere e per quella passione per libri e tele, che collezionava, per cui avrebbe spogliato l’episcopio di «scelti e numerosi quadri», e volumi, sottratti all’archivio vescovile. È per questi motivi che nella tradizione cronistica locale viene investito da una sorta di “damnatio memoriae”: «Non sempre conferì i benefizî con giustizia; era spesso deferente per amicizia» riporta il Paladini. 

La formazione

Discendente da nobile famiglia catalana insediatasi in Puglia al seguito di Consalvo de Cordoba, Felice de Paù nacque a Terlizzi il 25 maggio 1703. Il padre sognava per lui una carriera da giurista, per cui si laureò in diritto civile e canonico, ma la predilezione per le lettere lo portò a Roma a perfezionarsi in letteratura e musica, in cui si era formato studiando violoncello, clavicembalo e composizione. Appassionato di poesia pastorale, inoltre, si unì all’Accademia dell’Arcadia con lo pseudonimo di Anemo Micalesio, e contrasse prestigiose amicizie, su tutte quella col cardinale Prospero Lambertini, futuro Papa Benedetto XIV. Sempre al soggiorno romano si deve il suo amore per la pittura, per cui investì ingenti somme nell’acquisto di opere di autori quali Rubens, Raffaello, Tiziano, per la propria galleria personale nel palazzo di famiglia. A Tropea invece, rimangono, entrambi al Museo Diocesano, la cappella privata e un bellissimo ritratto, non ancora studiato, che lo raffigura elegante ed austero.

La nomina a Vescovo

Dopo la rinuncia di Monsignor Gennaro Guglielmini, elevato all’Arcivescovato di Tarso, Felice de Paù fu consacrato Vescovo di Tropea il 15 marzo 1751. Dai cronisti locali è noto l’elenco degli interventi che eseguì sulle strutture di pertinenza, a partire dalla Cattedrale, dove modificò la posizione degli altari della Cappella di Santa Domenica, fino al nuovo seminario, inaugurato il 6 giugno 1756, che costruì quasi interamente a proprie spese, modificando strutture preesistenti attorno ad una corte quadrangolare, cui si accede tramite un pregevole portale in granito, sormontato da trabeazione semicircolare, con mascheroni in bassorilievo, che riprende il modello del palazzo della famiglia a Terlizzi; edificò una villa sul colle Sant’Angelo, con annesso collegio estivo per i seminaristi, che prese il nome di Villa Felice, ove morì il 6 novembre 1782. La formazione del clero era una sua missione, per cui dotò il seminario di maestri provenienti da Napoli, e si impegnò moltissimo per trovare fondi finalizzati allo scopo, ciò che procurò attriti con nobili e autorità locali.

Il Palazzo diocesano

Il presule mise mani anche all’episcopio, per renderlo più adeguato al proprio soggiorno, realizzando una gradinata (attualmente murata) per raggiungere il duomo dal piano superiore del palazzo, ove, fortunatamente, si conserva ancora la cappella privata, gioiello in cui l’arte più raffinata crea la più intima atmosfera di raccoglimento spirituale. Un portale in legno intarsiato con motivi floreali, sormontato dall’arme del vescovo, racchiude un piccolo sacello, in cui un fine pavimento in maioliche di Vietri sul Mare, dai colori mediterranei e con frutti dorati attorno al pavone di famiglia, introduce all’altare in muratura, dal puro linearismo barocco nella molteplicità dei piani e nell’alternarsi ed opporsi delle curve sinuose, decorato in finto marmo giallo, con volute e fogliami di piume leggere; la luce, che scende dall’alto, fa splendere la pala d’altare di Cosmo Sannio, che replica un’Adorazione dei pastori dipinta da Corrado Giaquinto per la Chiesa del Purgatorio di Terlizzi: de Paù, colpito dall’affascinante senso di intima quotidianità dell’opera originale, con l’intensa luminosità delle figure centrali, specie la Madonna, vestita di rosa e d’azzurro abbaglianti, e commissionata anch’essa dalla famiglia nel 1735 circa, la ritenne ideale per un luogo di preghiera quale la propria cappella privata.

Una nenia eterna: Tu scendi dalle stelle

La suggestione dell’ambiente della stalla di Betlemme non rivela solo la ricerca, quasi sorprendente per un personaggio amante dei salotti e delle conversazioni con nobili e letterati, di una profonda concentrazione nella preghiera personale, ma anche la particolare sensibilità del credente per il momento della nascita del Salvatore. Felice de Paù, musicista e compositore, avrebbe, secondo i più recenti studi, creato Tu scendi dalle stelle, che oggi è conosciuta universalmente in una versione che Sant’Alfonso Maria de’ Liguori avrebbe realizzato proprio a partire da una composizione del presule tropeano, dal titolo La Pastorella, che si svolge come un dialogo tra un gruppo di pastori e il Bambino, che a Terlizzi viene ancora cantata durante la novena di Natale.