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Allocata al primo piano dell’ex Episcopio, la sezione sacra del Museo Diocesano conserva le opere provenienti dalle chiese della città di Tropea.

La Testimonianza dei Santi

Allocata al primo piano dell’ex Episcopio, la sezione sacra del Museo Diocesano conserva le opere provenienti dalle chiese della città di Tropea, soprattutto la Cattedrale, suddivise in ambienti tematici, per la cui sistemazione sono stati seguiti criteri devozionali e precisi dettami della Soprintendenza dei BB. AA. della Calabria, legati ai materiali dei manufatti, con le dovute eccezioni rispondenti a pure esigenze di allestimento. La sala cosiddetta dei legni, dedicata ai Santi e ai Martiri, vanta una nutrita collezione, forse unica nella regione, di sculture per lo più di gusto squisitamente barocco, oltre al pezzo più pregevole della raccolta costituito dal Crocifisso quattrocentesco di bottega messinese proveniente dalla chiesa di S. Francesco d’Assisi.

I busti reliquiario

Lo spazio espositivo presenta al centro una preziosa serie di piccole sculture, alcune delle quali custodiscono ancora frammenti ossei, composta da dieci esemplari provenienti dalla Cattedrale, precisamente dalla Cappella di Santa Domenica (oggi del SS. Sacramento), che furono realizzati in due fasi successive: i primi quattro, raffiguranti Santo Stefano Protomartire, San Cristoforo, Santa Margherita e San Tommaso di Canterbury, sono risalenti al secondo quarto del XVII sec. e vennero commissionati presso una bottega napoletana; i restanti sei, che ritraggono San Carlo, Santa Barbara, Santa Cecilia, San Placido, Sant’Orsola ed una Santa Martire non ancora identificata, si devono alla generosità di Anna e Geronima Taccone dei Marchesi di Sitizano, che nel 1649 diedero incarico ad artisti, attivi sempre nella Capitale, di scolpirli. I due gruppi, benché molto simili nell’impostazione, risultano completamente differenti quanto a fattura, migliore nel caso del primo, sia relativamente alle proporzioni che per la resa delle mani e dei volti, che i secondi sei mostrano alquanto anonimi. Nonostante di qualità inferiore per quanto concerne la linea dei panneggi, comunque anche il secondo nucleo ostenta una ricca decorazione a foglia d’oro.

Opera altrettanto interessante è il busto, di dimensioni maggiori rispetto agli altri, rappresentante Una delle undicimila vergini compagne di Sant’Orsola, creato nel XVII sec. per la chiesa del Gesù da Giovanbattista Gallone, il quale diede ampio sfoggio della sua bravura nell’impiego della tecnica tipica del gusto dell’epoca. Il pezzo ritrae, come riportato dall’iscrizione posta sulla base, una delle sfortunate giovinette che, secondo la leggenda, accompagnarono la santa in pellegrinaggio a Roma e che, nel viaggio di ritorno in Britannia, passarono per Colonia dove furono trucidate per mano degli Unni a causa della loro fede. Il rifiuto di Orsola a sposare il loro re, Attila, costò la vita anche a lei. Al centro del petto della pregevole scultura è posta una teca, definita da una dorata cornice plasmata con quattro teste di cherubino, che permette la visione di un frammento della calotta cranica della martire, l’acconciatura della quale, con sottili trecce raccolte sul capo, può riferirsi secondo il Solferino, ad altri esempi, in particolare la marmorea Prudenza del sepolcro cinquecentesco di Antonio de Gennaro di Girolamo Santacroce. La produzione del Gallone vanta altri reliquiari simili, alcuni dei quali rappresentanti ancora le martiri di Sant’Orsola, nonché la stessa fanciulla.

Raffinati manufatti

Notevole è altresì il livello delle statue a figura intera che campeggiano maestose su alti basamenti ai due lati della sala, tra le quali spiccano Sant’Anna e San Gioacchino, eccellente prova del mastro napoletano Francesco Stellato, che le realizzò nel 1643 per l’altare maggiore del principale tempio tropeano. Le opere, che furono in seguito traslate nella chiesa della Michelizia e posizionate sui modiglioni laterali della mensa lignea settecentesca, emergono per la finitura aurea a felice contrasto con i colori delle vesti dei santi genitori della Madonna, il verde e il rosso mattone.

Di estremo valore è, infine, il Sant’Antonio con il Bambino in legno scolpito, dipinto e dorato di fra’ Diego da Careri, artista francescano di formazione classicista molto prolifico soprattutto nel Regno di Napoli, con importanti risultati anche nel settentrione d’Italia. La statua, proveniente dalla chiesa dell’Annunziata, venne manomessa nella parte posteriore in modo da renderla più leggera, così da poterla condurre in processione più agevolmente. La pregiata opera eseguita nella seconda metà del XVII sec., risalta tra tutte per l’eleganza e l’accentuato linearismo del corpo e per la dolcezza del dialogo di sguardi tra il santo ed il giocoso bambino che questi regge sul braccio destro, e risplende in senso assoluto nelle sue precise geometrie a losanga, in cui il colore seppia dell’abito rimane quasi in secondo piano.