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Il convento e Carlo V

Secondo i cronisti locali (Paladini che riprende Campesi, e Francesco Sergio su tutti), il complesso conventuale dell’Annunziata è stato innalzato nel 1521, su di una piccola struttura preesistente, una cappelletta secondo il Sergio, oppure un piccolo convento formato da un unico corridoio e senza chiostro. Sarebbe stato l’Imperatore Carlo V, di passaggio da Tropea, per ricambiare l’accoglienza dei cittadini, a lasciare la cospicua offerta di questi come donazione per l’erezione di un più grande edificio in cui far insediare i Padri Osservanti di S. Francesco. 

La fabbrica gotica

La nuova struttura avrebbe quindi inglobato l’impianto esistente, andando ad addossarsi ad una grande chiesa di stile gotico, la cui pianta ad aula unica rappresenta tutt’oggi il corpo dell’attuale costruzione. Ciò si deduce dalle proporzioni tipicamente slanciate verso l’alto, e dalla tipologia dello schema, essendo caratteristica di molte chiese francescane trecentesche l’assenza di suddivisione dello spazio interno in navate, per motivi dettati dalla predicazione, facilitata così dal punto di vista sia acustico che visivo. Altri elementi decisamente gotici sono rappresentati dagli archi a sesto acuto in evidenza sulla parete di destra, chiaramente visibili anche dall’esterno, interpretati quindi come antiche aperture di cappelle laterali che andavano oltre il perimetro della navata, modello riscontrabile in altre chiese calabresi dello stesso ordine e stile. Stesso ragionamento vale per la zona absidale, costituita da un vano quadrangolare, sostenuto da crociera costolonata ogivale e separata dalla navata per mezzo di un arco trionfale, anch’esso a sesto acuto, che ricalca anche in questo caso altre strutture angioine presenti nella regione (come S. Maria della Consolazione ad Altomonte): l’arco, leggermente strombato e scandito da semplici ghiere multiple, poggia su capitelli dalle stilizzate foglie d’acanto, sorretti da pilastri e semicolonne. È altresì interessante nel coro una piccola porta laterale ad arco ogivale che lo collega alla sagrestia.

Gli interventi cinquecenteschi

Secondo i più recenti studi, a causa della mancata coincidenza della data con il passaggio dell’Imperatore, in realtà avvenuto nel 1535, e confrontando fonti diverse dalle tradizioni locali, sarebbero stati in realtà i tropeani ad ampliare il convento, e la donazione di Carlo V, se vera, sarebbe relativa ad ulteriori interventi cinquecenteschi, forse tra quelli ancora oggi visibili. In particolare, puro linearismo e proporzione classica esprime il portale ad arco a tutto sesto, racchiuso tra paraste scanalate, che ha sostituito l’ingresso medievale, la cui linea si riesce ad intuire in alcune evidenze in controfacciata. Pregevole il soffitto a cassettoni, finemente decorato a tempera con grottesche e fantasie fitomorfe, che risulta essere stato restaurato nel 1689 dal napoletano Antonio Gigante. In effetti, la chiesa evidenzia più di una modifica in stile “moderno”, nel senso vasariano, che potrebbero essere coincise con l’erezione, nel XVI secolo, del grande convento, tardorinascimentale, ad esempio, e risalente per la precisione al 1597, per quanto rimaneggiato alla fine del secolo successivo, è lo scenografico altare centrale, opera monumentale del messinese Pietro Barbalonga, realizzata in marmo verde di Calabria e riccamente decorata: due semicolonne sorreggono una trabeazione sormontata da un timpano spezzato, al centro del quale è l’Eterno benedicente. La nicchia semicircolare al centro, dipinta con un paesaggio ed una gloria di cherubini, accoglie il gruppo scultoreo dell’Annunciazione, di mano di Giovan Battista Mazzolo, autore di origine toscana ma attivo a Messina, da cui presumibilmente proviene l’opera, visti gli intensi rapporti fra Tropea e la città dello Stretto a cavallo tra XVI e XVII secolo, complice la presenza sulla cattedra vescovile tropeana del messinese Tommaso Calvo. La figura dell’Angelo Annunziante, inginocchiato e con le braccia incrociate sul petto, si volge verso la Vergine, in piedi, statica e classica, che regge il libro con la mano sinistra con una delicatezza quasi leonardesca.

La riconfigurazione barocca

La parte retrostante l’altare, presenta un affresco raffigurante la Flagellazione di Cristo alla colonna, firmato e datato da un certo F. Didacus Neapolitanus nel 1644. Secondo il Paladini il XVII secolo sarebbe stato un periodo di grandi lavori di abbellimento dovuti a padre Pasquale Martirano di Tropea prima, e padre Paolo di Alafito poi. Quest’ultimo arricchì la chiesa di quadri e realizzò molti altri lavori, anche se non è noto di quali opere si trattasse nel dettaglio. Andando però a consultare alcune fotografie d’epoca che ritraggono, seppur parzialmente, l’arredo dell’aula prima dell’ultima spoliazione, sono evidenti ricchi altari in marmi policromi barocchi (SS. Cosma e Damiano, S. Pietro d’Alcantara, e S. Antonio da Padova, tra gli altri), e moltissime tele ormai purtroppo perdute, presumibilmente a causa della soppressione degli ordini religiosi con l’unità d’Italia, e delle conseguenti vendite all’incanto che furono attuate dei beni di complessi monastici. Il convento e la chiesa divennero proprietà del Comune di Tropea, ed il primo, ormai inutilizzato, fu raso al suolo per far spazio al cimitero comunale. Ad oggi, di quello scenografico impianto decorativo, restano ancora alcune lapidi di sepolture gentilizie, e soprattutto il monumentale sepolcro di Alfonso Toraldo Calimera, opera del 1719 firmata da Andrea Raguzzino, che ritrae il defunto in un tondo sorretto da due putti seduti su volute, sovrastante il sarcofago dominato dall’arme della famiglia e poggiante su di una coppia di leoni; ai lati dell’urna altri due putti con una candela spenta ed una clessidra, simboli del tempo finito e della vita spenta.